Digital Skill: un problema italiano

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Digital Skill: più le cerchi, meno le trovi. Questa è la realtà, in un contesto dove gli impieghi più ricercati le richiedono, molti dicono di averle, ma nessuno le conosce. Come è possibile che, in Italia, si sia venuta a creare questa situazione?

Un bel quadro dello status quo lo fa Alex Corlazzoli in su Che Futuro. Lo riassumiamo in breve:

  • Il 56% degli intervistati pensa che l’educazione scolastica non serva per trovare lavoro
  • Il 10% degli intervistati pensa che l’educazione scolastica non serva assolutamente a nulla
  • Il 55% degli intervistati crede che adattarsi al lavoro sia la cosa più importante
  • Le capacità e competenza acquisite nel percorso extra-scolastico stanno diventando sempre più importanti
  • Le aziende spendono molto in formazione, dovendo recuperare quello che il sistema scolastico non fa
  • L’alternanza scuola-lavoro introdotta dal governo Renzi non è esattamente svolta al meglio, e non porta alle volute assunzioni

A lavorare sulle Digital Skill in Italia, comunque, non è solo il governo in prima persona, ma anche i BIG del settore. Ad esempio segnaliamo il programma , organizzato da Ministero del Lavoro, Google, UnionCamere e Istituto Tagliacarne.

A lavorare sulle Digital Skill sono più le aziende
che l’educatore pubblico, abbastanza lontano da queste
tematiche

Crescere in Digitale è rivolto agli iscritti a Garanzia Giovani e propone una serie di laboratori diffusi su tutto il territorio italiano per formare i giovani neet e dar loro una professione. Google è un’azienda molto attenta a questo tema e offre anche un corso gratuito accessibile a tutti qui.

Gli strumenti per acquisire competenze prima di entrare nel mondo del lavoro sono quindi ovunque, senza citare le infinite possibilità aperte dalle centinaia di Mooc (Massive Open Online Course) offerti dalle università migliori sparse per tutto il globo, ed accessibili da un qualsiasi dispositivo dotato di connessione ad internet.

Il ritardo italiano nelle Digital Skill
è dato da una matrice culturale poco incline
all’innovazione e al cambiamento

Come giustamente suggerisce Alex nel suo post, il problemi in Italia è prettamente culturale, e dovuto a come vengono organizzati i programmi sin dalle scuole elementari che, ben lontani dall’accogliere le digital skill come parte del programma, sono fermi in un immobilismo omeostatico dalla loro formulazione iniziale.

Questo, misto ad alcune proverbiali (e banali) convinzioni del popolo italiano – citiamo fra le tante “Il latino ed il greco antico servono a sviluppare il pensiero critico” o “Dante è alla base dell’italiano, perciò è giusto studiare per tre anni la Divina Commedia” – rende limpido il problema: la totale assenza di un pensiero critico volto alla risoluzione dei problemi.

Con questo non ci stiamo mettendo contro l’educazione classica, sia ben chiaro, tuttavia è evidente a tutti come i programmi scolastici attuali mettano “le gambe corte” ad un’intera generazione, perchè non essendo interessanti, non vengono semplicemente presi in considerazione dagli studenti, che rimangono ignoranti sotto tutti gli aspetti, non solo quelli digitali.

Ecco un breve video che riassume bene la situazione:

Il problema vero, perciò, è la scarsa rilevanza di politiche volte alla creazione del pensiero critico e computazionale sin dalle prime fasi dell’educazione (ma potremmo più in generale parlare di politiche educative efficaci). Questo si traduce in una scarsa efficacia delle poche messe in atto, perché gli strumenti attuativi sono concepiti per essere deboli sul nascere, tanto che sembrano fatti solo per potersene vantare.

Finché tutto il sistema educativo non verrà rivisto in ottica culturale e formativa, e volto alla formazione di un vero pensiero critico/computazionale, difficilmente potremo parlare di digital skill con qualche reale competenza e difficilmente potremmo davvero innovare, quindi svilupparci.

D’altra parte, vista il notevole ritardo del sistema Italia e l’incredibile lentezza con la quale cerca di mettersi in paro, nasce di conseguenza un sospetto: che il pensiero computazionale non sia desiderato?

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