Scrivere SEO: come evitare 2 atteggiamenti tossici

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Scrivere contenuti SEO – che in questo caso sta per Search Engine Optimized – non è cosa da tutti. Leggendo questo articolo imparerai come evitare due degli atteggiamenti di scrittura più fastidiosi per il lettore.

Scrivo contenuti SEO da praticamente sempre, da quando cioè scrivevo recensioni e news per diverse testate italiane legate al mondo tech/smanettoni. Avevo 16 anni e da allora sono passati quasi due decenni… dopo tutto questo tempo, devo dire che sulle tecniche di base non è cambiato granché.

Ciò che è cambiato più di tutti è il contesto di riferimento: c’è più competizione e c’è molto più rumore, quindi emergere è effettivamente più difficile. Perciò, le tecniche possono anche affinarsi nel tempo, ma i pilastri di base sono rimasti gli stessi.

Rimanendo per un attimo onsite, da un lato c’è l’ottimizzazione SEO tecnica, cioè la struttura del sito web, la velocità di caricamento e tutti gli accorgimenti correlati, dall’altro c’è il contenuto: il testo, le immagini.

Contenuti SEO: due atteggiamenti tossici

In questi anni ho incontrato, facendo esperienza, molte figure SEO valide ed altrettante più dilettantistiche, com’è normale. Essendomi formato a partire dal mondo tecnico, questo per deformazione professionale, credo sia opportuno farti conoscere due atteggiamenti tossici che, pur diametralmente opposti, si possono riconoscere sia nello stile dello scrittore più esperto che nel neofita.

Sono proposti qui in ordine casuale, nel senso che non ce n’è uno peggio dell’altro. Sono da evitare entrambi.

Il giornalismo prestato alla tecnologia

Il primo atteggiamento tossico dal quale stare alla larga è quello del giornalismo prestato alle tecnologia

In questo profilo c’è una convinzione di base, ovvero che scrivere articoli lunghissimi, spesso convoluti, usando retorica e ripetizioni di concetti possa portare effettivamente ad un buon posizionamento, anche in assenza di risposte chiare.

Non è ovviamente così, perché se stiamo stiamo scrivendo un articolo su un sito, non si può pensare di utilizzare le stesse tecniche implementate in un articolo di giornale, o nella scrittura di un libro. Ne possiamo certamente derivare alcune, a livello macroscopico, perché riguardano la comunicazione scritta, ma vanno comunque contestualizzate.

Il risultato di questo stile di scrittura è una mancata attenzione alla gerarchia ed organizzazione formale dei contenuti (in questo caso, del markup) con articoli spesso troppo lunghi e difficili da fruire, dei wall of text che per un pubblico distratto come quello del web non sono proprio l’ideale.

Green light addicted selfless junkie

Il secondo atteggiamento tossico nasce – con dispiacere – dal semaforo del celebre plugin YOAST SEO

Disclaimer: non ho nulla contro il povero YOAST. Un plugin non ha colpe. Ma questo profilo pone una attenzione spasmodica alla luce verde del semaforo di YOAST che per quanto possa essere una guida utile, soprattutto alle prime armi, non può e non deve essere l’unico metro di riferimento.

L’aspetto più rilevante di questo atteggiamento è la produzione di articoli molto schematici ed eccessivamente ripetitivi rispetto alla parola chiave inserita come check, se non ci si sa controllare e non si conoscono alcuni meccanismi di interpretazione del testo ormai assodati di Google.

Questi aspetti, uniti alla necessità di scrivere sempre di più perché bisogna arrivare a 1000/1500 parole, crea articoli lunghi come l’atteggiamento precedente, ma che sembrano scritti da una macchina artificiale (e non sto parlando di intelligenza!).

SEO Copywriting: 3 aspetti da tenere in considerazione

Quello che dobbiamo fare è a parole molto semplice: bisogna evitare di cadere negli atteggiamenti descritti qui sopra. Nei fatti non è banale, perché è molto facile sbrodolarsi di parole ed è altrettanto semplice (e rassicurante!) seguire i consigli di YOAST in maniera meccanica.

Allora, a meno che non stiamo scrivendo a ruota libero (come più o meno faccio su queste pagine) ecco 3 aspetti che possono aiutarti a non lasciarti andare:

Search Intent: ricordati che esiste, sempre!

Sembra banale, ma qualsiasi ricerca nasce da un bisogno. Questo bisogno deve essere soddisfatto dal nostri contenuti. Lo stai facendo?

Il Search Intent, o user intent, in italiano sarebbe l’intenzione dell’utente oppure l’intenzione della ricerca. Allora, secondo te, quando troviamo un articolo lunghissimo che alla fine però non risponde alla nostra domanda, non ci propone nessun servizio e nessun prodotto, stiamo rispondendo al search intent? La risposta è no.

Ecco perché tutti quegli articoli lunghissimi, verbosi, ripetitivi, che suonino come un libro o suonino come una macchina, potranno anche salire in ricerca e rimanere su per un po’ di tempo, ma sul medio periodo perdono appeal e poi iniziano a calare nella posizione.

La cosa bella di pensare poi al Search intent come uno stato mentale è quello di rifletterci sopra anche quando si fanno analisi dei dati, perché possono uscire fuori considerazioni molto interessanti ed utili a correggere la strategia in funzione delle query per cui ci stiamo posizionando.

Entra nella testa del tuo target (aka delle tue personas)

Capire per chi scrivi è importante per definire cosa scrivi

Che tu stia ottimizzando un articolo di un blog oppure la struttura dei contenuti delle pagine statiche di un sito aziendale, entra sempre nella testa del target specifico per quel contenuto.

In funzione del tuo target dovrai:

  • Modificare il lessico del tuo articolo
  • Modificare il tono del tuo articolo
  • Modificare la composizione del tuo articolo

Fai molta attenzione a questo esercizio di immedesimazione, perché entra in gioco anche nella valutazione del Search Intent!

Siccome poi il tuo target potrebbe essere eterogeneo, concentrati sulla definizione di alcune personas (anche 4-5 sono abbastanza per iniziare) così che tu possa sempre crearti una immagine mentale del tuo probabile cliente/lettore.

Crea una organizzazione gerarchica e semantica dei contenuti

Se non hai sentito parlare della piramide rovesciata dei contenuti è il momento di entrare in questa logica. La piramide è fatta pressapoco così:

Questa è la nostra piramide rovesciata, che ha una prospettiva leggermente diversa da quella standard.

La piramide rovesciata nasce da una impostazione giornalistica della scansione dei contenuti. Troverai poi sul web altre fonti che ti diranno di far corrispondere le cose ad i tag per i titoli (h1, h2, h3) che aggiungono una informazione gerarchica al paragrafo che segue.

Ora questo è vero in parte, perché la piramide qui sopra in realtà rappresenta un criterio di organizzazione nella globalità dell’articolo: ma siccome un sistema comunicativo si sviluppa in modo infinitesimale, potremo poì avere diverse articolazioni di titoli, con all’interno una piramide più piccolina, per così dire, che rimane la nostra guida di organizzazione.

Ora sta a te!

Se hai trovato questo contenuto utile, oppure hai qualche dubbio, fammelo sapere con un commento 😉

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